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“Oltre la follia” di Zaira Mainella

immagine copertina Oltre la follia

Quello che c’era nella sua testa nessuno lo sapeva. Era un’incognita. La sua mente vagava libera per sentieri sconosciuti agli altri, sentieri impervi in cui i sani di mente non avrebbero mai voluto avventurarsi. Sensazioni, speranze, paure… Dopotutto anche i pazzi provano emozioni. Forse stanno meglio… in un mondo in cui nessuno può entrare. Adam era uno di loro, era un “diverso”. Viveva in una struttura per malati di mente da tempi immemorabili, si poteva dire che fosse lì da sempre. Non ricordava dove abitasse prima, né le persone con cui stava, solo sua madre; in particolare i suoi abbracci. Ogni volta che Adam abbracciava sua madre, lei lo stringeva ancora più forte, come a dire “sono qui”, “ti proteggo”, come a suggellare un legame profondo attraverso il contatto. Per Adam l’abbraccio era la forma più dolce per dimostrare affetto all’altra persona. Nessuno l’aveva più abbracciato così dopo sua madre. In verità nessuno l’aveva mai abbracciato da quando viveva lì. Gli auguri scambiati a Natale e a Pasqua con gli altri ospiti della struttura risultavano freddi, una formalità.
Quella mattina Adam era intento a guardare la pioggia bagnare i vetri della sua finestra, quando qualcuno bussò alla porta della sua stanza. Lui non disse niente, si girò solo a guardare in direzione della porta. Dopo qualche secondo entrò un’infermiera.

  • Buongiorno Adam, come va? –
  • Anche oggi il sole è sorto a Est, eppure non lo vediamo. –
  • Tutti i giorni il sole sorge ad Est, ma la pioggia e le nuvole stamattina lo nascondono. –
  • Perché sorge a Est e non a Ovest? Chi lo dice questo… la scienza? –
    L’infermiera gli sorrise. Era il suo primo giorno di lavoro, ma era stata già avvisata delle stramberie dei pazienti di quella struttura.
  • La scienza certo… lei non ci crede? –
  • Credo solo a quello che vedo. Per esempio vedo che lei non è mai stata in questa stanza prima d’ora. È nuova? –
  • Sì, infatti. Mi scusi, non mi sono presentata… mi chiamo Irene. –
  • Irene… Irene… se ne scapperà presto da qua dentro come hanno fatto tutte le altre prima di lei. Questa è una prigione. – Adam strinse gli occhi e la fissò intensamente, come a volerla sfidare.
    La donna sostenne il suo sguardo e rispose:
  • Ogni luogo può essere una prigione, dipende solo da noi. –
    L’uomo scoppiò a ridere forte, senza controllo, ma lei non si scompose.
  • Pure l’infermiera filosofa mi doveva capitare… –
  • Queste sono le medicine che deve prendere. –
    Nella stanza calò improvvisamente il silenzio. Adam si avvicinò e ingoiò le compresse insieme a mezzo bicchiere d’acqua. Poi si gettò a terra carponi e si mise ad annusare il pavimento. Neanche davanti a quest’atteggiamento Irene si scompose. Gli chiese solo con voce tranquilla:
  • Per caso ha perso qualcosa? –
  • No, sto seguendo un odore nuovo… qualcosa che non ho mai annusato prima… – Adam sembrava un segugio in cerca di tracce. Si fermò ai piedi dell’infermiera e aggiunse:
  • Quest’odore viene da lei. – E si alzò per guardarla in faccia. – Forse è il suo profumo. – Si chinò verso il suo collo e aspirò la dolce fragranza che emanava la sua pelle.
    Irene era immobile. Un attimo dopo Adam si allontanò e tornò a guardare fuori dalla finestra.
  • Ora devo andare. – L’infermiera uscì senza attendere risposta.

Il ticchettio della pioggia era rilassante. Adam si mise a contare le gocce sui vetri, ma aveva ancora nelle narici il profumo della donna e si stupì a pensare che era diversa da tutte le altre passate di lì nel corso degli anni. Ne aveva conosciute di tutti i tipi, eppure nessuna era rimasta impassibile davanti a lui come aveva fatto Irene. Qualcuna era scappata, un’altra si era messa a piangere, un’altra era addirittura svenuta. Adam leggeva sempre la paura nei loro occhi mentre le fissava. Quello che invece non sopportava era scorgere la pietà nei loro visi incipriati. Si mascheravano per rasentare la perfezione; ma la perfezione non esisteva secondo Adam. Tutti avevano difetti. Lui era ritenuto pazzo dagli specialisti, ma la sua follia non era diversa da quella di tanti altri che ogni mattina si alzavano e si recavano al lavoro, facendo finta che andasse tutto bene mentre la loro vita cadeva a pezzi. Uno, due, tre, quattro… ogni goccia d’acqua picchiettava per un secondo sulla superficie liscia del vetro, trasformandosi subito in una scia strisciante che spariva alla base della finestra. Certi giorni Adam avrebbe voluto sparire come quelle gocce d’acqua. All’improvviso si mise a intonare Per Elisa di Beethoven, si sedette e incominciò a costruire sul tavolo un castello con le sue quaranta carte. Era il suo passatempo preferito. Una volta completato, con un colpo secco della mano destra distruggeva tutto e ricominciava daccapo. Per tutta la mattina sentì nella stanza e nella sua testa il profumo di Irene e desiderò fortemente di rivederla. Voleva spiegargli che lui non era pazzo, che le medicine che gli somministravano ogni giorno l’avevano ridotto così, che lui poteva anche essere capace di amare.
Quando il pomeriggio entrò nella sua stanza un’altra infermiera, Adam pensò che Irene si fosse spaventata per il suo atteggiamento e avesse chiesto volutamente di non tornare più in quella stanza. Gli montò una rabbia dentro così forte che diede un pugno sul muro, mentre l’infermiera gli porgeva le solite medicine. Si mise a urlare, in qualche modo voleva punirsi, era colpa sua se anche Irene era scappata, forse l’unica in cui aveva visto una luce diversa negli occhi, l’unica che avrebbe potuto salvarlo per non farlo impazzire del tutto.

Dov’è Irene? Perché non è venuta lei a portarmi le medicine? – Adam urlò contro la povera infermiera, che subito indietreggiò spaventata.

Ha fatto il turno di mattina… ma domani tornerà… si calmi adesso! – La donna raggiunse la porta, pronta a chiamare rinforzi se la situazione fosse peggiorata.

Non è vero, lei sta mentendo! Irene se n’è andata! Non la rivedrò più! – Adam continuava ad urlare.
La donna notò che la sua mano destra sanguinava per via del colpo sul muro. Decise di non aspettare oltre, uscì nel corridoio a chiamare aiuto. Quando rientrò con un dottore, trovarono Adam accasciato a terra che piangeva. Dovettero sedarlo. Quando si risvegliò, era solo nella stanza. Si alzò lentamente dal letto, la testa era un macigno troppo pesante da tenere dritta sulle spalle. Non sapeva da quanto tempo stesse dormendo, forse giorni, ma ricordava perfettamente che cosa era successo e subito avvertì una fitta al cuore al ricordo di Irene. Cominciò a piangere come un bambino. Andò a sedersi davanti alla finestra. Quel giorno il sole illuminava il paesaggio e il tepore dei suoi raggi giungeva fino a lui attraverso i vetri. Si lasciò avvolgere da quella lieve sensazione di benessere che sembrò quasi alleviare la sua sofferenza. A poco a poco si calmò e smise di piangere, ma gli restò la sensazione di aver perso una persona importante. Poi si ripeté ad alta voce che era uno sciocco, che non poteva essersi affezionato a una donna con cui aveva parlato solo per pochi minuti. Si alzò di scatto asciugandosi le lacrime, quasi arrabbiato con se stesso e in quell’istante qualcuno bussò alla sua porta. Entrò Irene e la sorpresa e la gioia di Adam furono così grandi che appena lei chiuse la porta alle sue spalle, le andò incontro con un sorriso.

Allora era vero… non sei scappata via… – Senza accorgersene era passato a darle del tu, come se fossero già amici.

Oh Adam! Come avrei potuto scappare? –
Gli occhi di Irene luccicarono di lacrime. Adam d’istinto l’abbracciò e lei non si ritrasse, invece lo strinse di più, proprio come un tempo faceva sua madre. Lo teneva stretto a sé e non lo lasciava andare e tra le lacrime gli sussurrò all’orecchio:

Quanto ti voglio bene! –
A quel punto fu lui a scostarsi e a guardarla con aria interrogativa, mentre notava sul suo volto le lacrime, che ormai scendevano senza più nascondersi. Irene continuò dicendo:

Hai ragione, ti devo delle spiegazioni, però promettimi che quello che sto per svelarti non dovrà saperlo nessuno qui dentro. –

Ma tu chi sei? Che vuoi da me? – Adam si era ritratto con diffidenza, aveva camminato all’indietro fino al tavolo dove le sue quaranta carte attendevano il loro castello quotidiano.
Ora era lui ad avere paura, paura di scoprire qualcosa che l’avrebbe fatto soffrire. I ruoli si erano capovolti. Non era più l’infermiera di turno a guardarlo impaurita, era lui a provare quella sensazione e non era per niente piacevole. Era come camminare su una corda sospesa tra due case a centinaia di metri di altezza, con la paura di cadere ad ogni passo.

Non lo voglio sapere… non dirmi niente… vattene! – Aggiunse Adam tutto d’un fiato.

No, non me ne vado! Mi devi ascoltare! Io sono qui per aiutarti, perché so chi sei, ti conosco da quando sei nato… – Irene si avvicinò di nuovo a lui, che la guardava sempre più smarrito. – Non ti ricordi di me? Sono tua sorella… – La donna piangeva, ma esitava ad abbracciarlo di nuovo; aspettava la sua reazione.
Adam all’improvviso cambiò faccia, fu un attimo, un ricordo… e un episodio della sua infanzia che risalì prepotente nei sentieri della sua memoria gli diede quella certezza di cui aveva bisogno. Osservò gli occhi di Irene, uno verde e l’altro azzurro, erano ancora così. Come aveva potuto la sua mente cancellare il ricordo di una sorella per tutti quegli anni? Si gettò tra le braccia di Irene senza più esitare. Non riuscì a capire chi dei due stringesse più forte l’altro. Era il loro gioco da bambini, per imitare la mamma.

Ti tirerò fuori da qua dentro, vedrai… ma tu dovrai fare quello che dico io! –

Certo sorellina mia! Ancora non ci credo! –

Scusami se non te l’ho detto subito l’altro giorno… non ci vedevamo da anni… volevo prima capire come stavi… ma tu hai precipitato gli eventi… –

Da oggi sarà tutto diverso qui dentro grazie a te. –

Non ci resterai a lungo, te lo prometto. – Irene si staccò dal fratello per guardarlo negli occhi. – Ora siamo di nuovo insieme, nessuno più ci separerà… nessuno specialista, nessuna diagnosi, nessun tribunale… ti riporto a casa nostra Adam, te lo giuro! –

Zaira Mainella è nata a Benevento il 17/08/1983. Si è laureata in Filologia Moderna alla Federico II di Napoli e attualmente lavora presso l’Area Archeologica del Teatro Romano di Benevento. Nel 1997 ha pubblicato il romanzo “Lo specchio del mondo”, nel 2014 “Il segreto di Emily”, nel 2017 l’Ebook “Un angelo caduto dal cielo” e nel 2023 “L’acqua ha memoria”.Dal 2022 legge le sue poesie e i suoi racconti sul canale Youtube Zaira Mainella. A maggio un suo racconto è stato pubblicato nell’Antologia “Narrazioni di un alfabeto”. Organizza incontri di lettura e scrittura creativa presso il centro “Leggere in libertà” e collabora con le scuole elementari per promuovere progetti di lettura