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“La voce dei vigneti” di Antonio Di Santo

Una giornata piena. Una delle tante, nella vita di Benedetta. Lavorava da dieci anni nella M&C di Milano, una grande azienda pubblicitaria, che proprio in quel periodo stava concludendo un importante progetto.
Aveva passato molte ore al PC, con gli occhi che le bruciavano, quando fu interrotta da uno squillo.
La madre di Benedetta non chiamava mai la figlia in ufficio, la sentiva poco. Gli impegni di lavoro della giovane donna non le permettevano di ritagliarsi più di qualche minuto per le telefonate private.
Quel giorno, però, il telefono squillò e fu proprio la madre di Benedetta a chiamare. Il motivo della chiamata lasciò la giovane stordita. Mai, si sarebbe aspettata che la sua unica cugina materna avesse già fissato la data del matrimonio per il mese venturo. Si era sentita tradita da quella notizia e se ne dispiaceva.
Aveva appreso, solo cinque settimane prima di quella chiamata, che la cugina stava frequentando un tipo di San Lorenzo e ne sembrava già innamorata persa.
La madre di Benedetta era ancora molto legata alla famiglia; era natia di Guardia Sanframondi e si era trasferita con la famiglia a Milano, quando la figlia aveva 10 anni.
Il marito era originario di Cerreto Sannita e come la compagna era ancora legato al beneventano; entrambi si recavano a Guardia, periodicamente, ma, ormai da molti anni, la figlia non li accompagnava più.
Fino all’età di 14 anni, Benedetta aveva ricordi di Guardia, perché fino a quell’età aveva seguito volentieri la famiglia al paese, per rivedere la nonna materna a cui era legata. Crescendo, però, la ragazza aveva voluto fare esperienze nuove. A 15 anni convinse i suoi genitori a lasciarla partire per l’Inghilterra, a casa di una famiglia, dove avrebbe potuto perfezionare la lingua inglese, occupandosi dei bambini dei suoi ospiti. Fece questa esperienza per tre estati di seguito e acquisì una buona padronanza della lingua. Finito il liceo prese una laurea in letteratura. Durante l’università viaggiò per l’Europa per apprendere altre lingue e fare piccole esperienze di lavoro all’estero. Dopo la laurea partì per un master nel settore marketing, negli USA e là rimase due anni. Tornata in Italia iniziò la sua carriera nella M&C di Milano e là lavorava da dieci anni.
Aveva sempre conservato un affetto speciale per la cugina; da figlia unica l’aveva sempre considerata una sorella minore e tutti i suoi ricordi d’infanzia si legavano a lei. Qualche volta Luciana era salita a Milano per far visita alla cugina e, come era proprio del suo carattere egocentrico e del suo fare bonario, aveva condiviso con Benedetta racconti su Guardia, aggiornandola su tutte le sue storie d’amore complicate che per un motivo o per l’altro finivano sempre.
Ora Luciana si stava per sposare; in soli due mesi aveva trovato ciò che aveva cercato per tutta una vita. Aveva trentacinque anni; l’età giusta per sposarsi, pensava la cugina più anziana di tre anni. Pensando al futuro matrimonio di Luciana, Benedetta provò ancora una sensazione insolita, come di solitudine. Aveva trentotto anni e non aveva mai avuto una storia vera nella sua vita. Da ragazza era orgogliosa della sua indipendenza, ma ultimamente, non avere qualcuno che le stesse accanto, nel periodo più delicato della sua carriera, le pesava.
I giorni erano volati e il lavoro di Benedetta aveva fatto effetto nell’azienda. Il CEO della M&C le aveva accennato di futuri incarichi importanti. Benedetta era soddisfatta di sé ma il matrimonio della cugina aveva scatenato in lei una crisi. Per la prima volta stava riflettendo sulla sua vita.
Prese sette giorni dall’azienda per il suo ritorno a Guardia. Era da ventiquattro anni che non vedeva il paese. Non sapeva interpretare bene il suo stato d’animo, c’era qualcosa che la emozionava e allo stesso tempo la deprimeva. I ricordi della sua infanzia erano sfocati, ma belli. Tuttavia, sentiva che Guardia le era estraneo e cresceva in lei un senso di disagio.
Il viaggio in macchina aveva già preso sei ore e mezza e la madre di Benedetta stava dormendo sul sedile accanto al suo, con la testa rivolta indietro, da una mezz’ora. La giovane aveva preso la strada provinciale e aveva attraversato Cerreto Sannita, la città di suo padre. Di Cerreto aveva pochissimi ricordi, il padre era sempre stato legato a Guardia, dove aveva conosciuta la madre di Benedetta e a Cerreto c’era tornato di rado. Qualche immagine della sua infanzia le tornò alla mente: rivedeva suoi nonni paterni. Quanto era andata avanti la vita? Le venne un brivido e per un attimo avrebbe voluto tornare indietro. Non c’era nulla che la legasse a quei luoghi silenziosi; alle case antiche e decadenti. Ricordò la casa di sua nonna paterna e il divano di velluto rosso, doveva sedeva suo nonno con il bicchiere di Falanghina in mano, l’unico lusso, dopo una sfiancante giornata di lavoro alla vigna. Ricordò i balconcini di ferro del corso principale, con i fiori freschi, e le pareti della facciata della palazzina dove viveva sua nonna, mangiate dall’umidità e dal tempo.
Si accorse che stava entrando a Guardia e subito scorse la valle Telesina. Una distesa di vigneti e uliveti si perdevano all’orizzonte. Ebbe la sensazione di lasciarsi alle spalle il suo presente per riappropriarsi di un passato che non le apparteneva. Entrare in quei territori la faceva sentire fuori dal tempo.
Il navigatore segnava il ridursi della distanza verso la casa di sua nonna materna, il percorso la costrinse a salire per una delle strette vie del borgo, Benedetta era una brava automobilista, era abituata al traffico milanese, ma sentiva di fare fatica ad attraversare le stradine strette di Guardia. Si rese conto che stava sfociando in una strada più larga e cominciava di nuovo a intravedere la valle; i suoi colori brillanti con le sfumature verdognole, misero alla giovane il buon’umore. Era in Via Municipio, a un soffio dalla casa di sua nonna.
Appena scesa dalla macchina sentì la voce roca della vecchia parente, si voltò e la vide affacciata ad un balcone.

  • Benedetta! Qua sei! Ma come ti sei fatta bella! Le foto le avevo viste, ma dal vivo sei un’altra cosa!
  • Ciao nonna – per un attimo si sentì bambina. Vedeva sua nonna ancora giovanile, appoggiata alla porta, mentre la chiamava per la merenda. Sentì il profumo delle sfogliatelle napoletane e si rese conto che era reale.
  • Ti ho fatto il tuo dolce preferito, sai? Ma tua madre non è con te? E papà dov’è?
  • Papà non ce la fa, purtroppo. Mamma si è addormentata, ora la sveglio.
  • Dai, sbrigatevi a salire, che c’è anche Luciana che ti vuole salutare.
    Nel mentre, la cugina si affacciò alla finestra e le fece un sorriso luminoso. Il suo viso era raggiante e la sua felicità si percepiva immediatamente. Si offerse di scendere per aiutare con le valige e Benedetta la trovò insolitamente energica.
    Dopo pochi minuti si trovarono sedute sul sofà della nonna materna a chiacchierare.
  • Vedo che il fidanzamento ti sta facendo bene. Non posso credere che ti sposi, io nemmeno conosco il tuo fidanzato!
    Luciana sorrise – lo conoscerai stasera, ho organizzato una piccola festa di post-fidanzamento, all’agriturismo di Antonio. Ti ricordi di lui?
  • Antonio? No, non .. – Benedetta cercò fra i suoi ricordi e si sforzò di trovarci un Antonio, ma non le venne in mente nessun viso da associare a quel nome.
  • Ma dai! Non ti ricordi di Antonio! Quando avevi quattordici anni, ti c’eri pure messa assieme! Lui era innamorato perso dietro a te!
    Benedetta restò incredula per qualche secondo, poi la sua mente iniziò a cercare un’altra volta, sforzandosi di ritrovare quel viso sconosciuto: – Antonio, Antonio, ah! Ma sì, sì Antonio! Hai ragione, sì che mi ricordo. Chissà … lo avevo rimosso dai miei ricordi. E come sta?
  • Bene. La moglie, però, non lo lascia respirare.
  • Ah! È sposato?
  • No, divorziato, da otto mesi, ma l’assegno di mantenimento è spropositato. Sai, con il figlio di mezzo …
  • Capisco. E il tuo Filippo, che tipo è?
    La bocca di Luciana si aprì di nuovo in un sorriso – Filippo? Filippo scherza sempre! Mi fa ridere. Ma sono sicura ch ti piacerà, perché ha un sacco di interessi!
  • Ma come vi siete conosciuti?
  • Tu ci credi all’anima gemella? Entrambi eravamo a Torrecuso, con amici per il VinEstate, una manifestazione che fanno là, a inizio settembre; ci siamo piaciuti all’istante. Lui aveva in mano un bicchiere di aglianico DOC, proprio come me! Abbiamo iniziato a parlare e … da passione nasce passione! – scoppiò in una risata gioiosa, che nascondeva un po’ di eccitazione.
    Benedetta era felice per Luciana, non ricordava di averla vista mai così serena; tuttavia, sentiva un senso di fastidio. In quel preciso momento della sua vita non aveva neanche un amante, non faceva sesso da mesi e l’amore per lei era ormai divenuto una sorta di mito, che non apparteneva alla sua esistenza. Sapeva che la cugina le avrebbe chiesto notizie sulla sua vita intima e non voleva affrontare l’argomento. Si sentiva fragile e in difetto di fronte alla felicità della parente, come una sciocca ragazzina.
    L’agriturismo di Antonio era a pochi chilometri dalla casa della nonna di Benedetta, in via Sant’Antuono. L’entrata dava sulla strada e appariva come un edificio qualunque. Un terrazzino bianco e marrone sovrastava sopra la porta d’entrata, dove appena sopra al muro, proprio sotto al terrazzo, era incisa l’insegna in stampatello: “Agriturismo La Cantina” – Originalità portami via! – pensò Benedetta.
    L’edificio era protetto da una cancellata, che era aperta, per permettere alle macchine d’entrare.
    Superata la cancellata, la sua macchina avanzò nel vialetto che si apriva in un grande parco, da cui si vedeva tutta la bellezza della Valle Telesina. L’illuminazione notturna dava alla valle un aspetto fiabesco e meraviglioso. Rimase inebriata dalla scenografia naturale e pensò alla fortuna di chi si trovava tanta bellezza sotto agli occhi ogni giorno. Sentì il lieve desiderio di poter restare là e lasciarsi Milano alle spalle.
  • Guarda, scommetto che quello è il nostro tavolo! – gridò sua mamma.
    Al centro vide un lungo tavolo con due file di sedie da entrambi i lati. Notò che accanto al tavolo sostavano diversi gruppi di persone, in piedi, intenti a chiacchiere. La maggior parte di loro sorseggiava del vino; molti ridevano rumorosamente e il chiacchiericcio continuo creava una piacevole atmosfera festaiola. Nessuno aveva notato la loro presenza.
    Squadrò attentamente ogni gruppo, sperando di scorgere la cugina, la madre la scosse di nuovo – Benedetta, ecco Luciana!
    La cugina si avvicinava con il solito sguardo acceso e il sorriso che la contraddistingueva dal pomeriggio. Era elegante e le sembrò bellissima. Era accompagnata da un giovane alto, con folti mustacchi che gli spuntavano da sotto al naso. Benedetta comprese che doveva trattarsi di Filippo e si lasciò scappare un sorriso.
    Il fidanzato della cugina si mostrò socievole e iniziò a chiacchierare con Benedetta e sua madre; raccontava in maniera concitata ogni particolare del suo incontro con Luciana e, ogni tanto, indirizzava alla futura sposa qualche battutina spiritosa. Luciana allora scoppiava in fragorose risate.
    Il chiacchiericcio dei presenti iniziò ad essere sovrastato da un giro di note al piano, a cui seguirono basso e batteria; ad ultimo, il sax completò l’apertura del primo pezzo swing. Molti dei presenti lasciarono il gruppo per unirsi in coppie di ballerini. I vestiti da sera delle ragazze si aprivano a ruota durante gli swing out e i triplo step scandivano i ritmi sincopati suonati dell’orchestrina in fondo al parco.
  • Ma! Non ci posso credere!- esclamò Benedetta – Qua si balla swing? A Milano va tantissimo, ma qua … non credevo che …
  • Ma va là! Non siamo mica trogloditi qua! – disse allegramente Luciana. – Ti presento il genio che ha organizzato la serata – Antonio, era davanti a Benedetta.
    Lo sguardo di lui si accese. Non era più quel ragazzino che Benedetta ricordava a stento. Vedeva un uomo alto e ben piantato, con la barba ben regolata intorno al viso e due occhi penetranti. Benedetta si sentiva imbarazzata e la sua gola era secca. Antonio le offrì un bicchiere di Falanghina del Sannio DOC, dicendole che era prodotto dall’azienda. – Stai bevendo un prodotto a chilometro zero. Sai per cominciare è sempre meglio un bianco!
    Il sapore fruttato del vino, penetrò nella sua gola lasciandole un piacevole aroma di fiori. Era secco e fresco e le venne voglia di berne un secondo sorso per assaporarne il profilo. Le sembrò di sentire gli antichi profumi della sua terra; socchiuse gli occhi per un attimo e vide il campo di ginestre, dove passava le giornate da bambina. Si sentì felice e chiese ad Antonio di ballare. Il proprietario della cantina si mostrò fin da subito un ballerino esperto e colse in Benedetta la partner ideale. Ballavano con euforica complicità, come se per anni non avessero fatto altro. Lei sapeva rispondere con prontezza a ogni break di lui ed entrambi sembravano divertirsi più ancora di Luciana e Filippo. Non si accorsero di aver attirato gli sguardi dei presenti che gli osservavano con ammirazione e interesse.
  • Wow! Ma sei una ballerina nata – le disse la cugina alla fine del secondo pezzo.
  • Be’, io ballo da anni ormai. Non pensavo che Antonio sapesse ballare così. – si girò verso di lui e con un sorriso che non provò nemmeno a nascondere gli chiese:
  • – Dove hai imparato?
  • A Roma. Non sono sempre rimasto qui a Guardia. Io e mia moglie abbiamo vissuto là cinque anni, dopo sposati. Poi mi è venuta voglia di tornare. Roma è una bella città: se vuoi goderti la vita è il posto ideale, però, a me mancava troppo questa valle. – Benedetta si voltò di nuovo a guardare quella meravigliosa scenografia naturale e le sembrò che quelle luci e quei colori fossero lì per lei.
    Le venne voglia di ballare ancora e trascinò Antonio in un charleston frenetico. La serata trascorse fra le danze e il vino. I due ex ragazzi di una volta erano cresciuti e ora si esploravano con la fresca curiosità dell’attrazione reciproca. Era come se si fossero conosciuti per la prima volta, proprio quella sera.
    Quando i presenti si ridussero a dieci, compresa la madre di Benedetta, che era rimasta a chiacchierare con chiunque prendesse fiato dalle danze, la giovane si rese conto che aveva praticamente dimenticato la cugina. La festa di Luciana le era trascorsa accanto e lei nemmeno se ne era accorta. Tuttavia, la futura sposa non sembrava adirata, ma piuttosto incuriosita dal suo feeling con Antonio. Benedetta non aveva ancora elaborato la cosa e nemmeno lei sapeva cosa definirlo.
    Prima di salutarla, Antonio le fece promettere di ritornare l’indomani mattina; tra un ballo e l’altro avevano parlato dell’agriturismo e l’orgoglioso proprietario voleva che Benedetta visitasse l’hotel interno e desse un’occhiata alla sua cantina.
    La mattina seguente Benedetta era ancora stordita dalle note e dal profumo del vino autoctono; benché, andare da Antonio la eccitasse, l’incertezza si era insediata nel suo animo. Sentiva di non riuscire a controllare il suo interesse per il suo ex e aveva paura di illudersi su una storia che presto sarebbe finita. Antonio aveva impostato a Guardia tutta la sua vita e lei doveva tornare a Milano; perché andare da lui? Fra quattro giorni Luciana e Filippo si sarebbero sposati e lei sarebbe ripartita. Ricordò le parole del suo capo e pensò ai nuovi progetti che l’aspettavano. Stava per chiamare Antonio, voleva dirgli che non sarebbe andata a La Cantina, ma le dita restarono sospese sui tasti del cellulare. Gli scrisse che stava per arrivare.
    Ora lei e Antonio si trovavano fra i corridoi dell’hotel. Lo stile interno dell’edificio riprendeva le linee del primo novecento, ma ogni dettaglio sembrava studiato con cura e il mobilio delle camera imitava lo stile antico. I colori chiari erano perfettamente abbinati alle pareti delle stanze e dei corridoi, e nell’insieme l’hotel emanava una luce accogliente; dava la sensazione di trovarsi in un posto raffinato. Su una lunga tavola, all’interno della sala ristorante, era allestito il buffet per la colazione, e alcuni ospiti si stavano servendo. Antonio le spiegò che si trattava di turisti – fino ad ottobre abbiamo un po’ di turisti qui a Guardia, soprattutto ad agosto, anche per la manifestazione di Vinalia, ma dall’autunno fino a primavera c’è un grosso calo.
    Be’, per me è già una notizia sapere che ci sono turisti – le aveva risposto Benedetta di getto. Si rese conto dopo di essere stata un po’ cinica. Antonio si stava aprendo con lei, le stava comunicando le difficoltà dell’azienda. Si era comportata come una turista in vacanza. Cercò di spostare l’attenzione del compagno e le chiese di farle visionare la cantina dei vini.
    Il locale si trovava sotto all’hotel; non era molto grande e la poca luce che penetrava dalla porta aperta consentiva appena di vederne l’interno. L’odore del vino era penetrante e provocava una sensazione di piacere. Nella penombra s’intravedevano le botti disposte a terra, in fila. Di fronte stavano scaffali di mattonelle rosse, su cui poggiavano le bottiglie di vino, accuratamente sdraiate l’una sull’altra. Gli scaffali erano allestiti per tipologie di vino e sulla parete accanto, stava un igrometro che segnava la temperatura e i gradi di umidità del locale. Antonio le fece strada e le raccontò la storia di ognuno dei suoi vini. Le parlava dei vigneti, delle uve e dei tempi necessari ad ogni nettare per maturare. Era innamorato del suo lavoro.
  • La gente pensa che il vino sia una cosa da bere, ma il vino ti parla: racconta la terra della vigna e chi raccoglie le sue uve. Dietro a ogni bottiglia ci sono delle di storie.
    Benedetta lo osservava ammirata. Si sentiva affascinata da quell’Antonio che non aveva conosciuto. Erano stati insieme una sola estate, quando ancora lei veniva a Guardia. In quei mesi sbocciò un sentimento improvviso, fra ragazzi. Si ricordò dei vigneti, dove nei tardi pomeriggi si nascondevano per stare insieme. Si ricordava delle emozioni dei suoi giovani anni, dei primi baci e delle prime carezze. L’ultimo ricordo di Antonio fu offuscato dalla vecchia Milano della sua giovinezza. Ricordò l’entusiasmo dell’ l’estate successiva, quando doveva partire per l’Inghilterra e la ferma convinzione che non sarebbe più tornata a Guardia.
    Antonio la richiamò al presente. Le propose di farle visitare i vigneti dell’azienda e Benedetta acconsentì. Erano ancora là, ventiquattro anni dopo. Le sembrò che quei vigneti, dovessero segnare la loro vita. Erano stati lo scenario della loro estate giovanile e anni dopo erano l’oggetto del loro incontro. Che ci facevano là, loro due insieme? Dove stavano andando? Si ricordò delle parole che le aveva detto Antonio poco prima, quando parlava del vino – anche i vigneti raccontano le storie di chi li attraversa – pensò. Sono testimoni del tempo che passa.
    Antonio l’aveva vista pensierosa e le aveva preso il viso fra le mani. Gli sguardi si erano incrociati ancora, il suo compagno poteva leggerle il pensiero. Sapeva che lei stava ricordando il passato. Il desiderio di baciarsi era diventato forte per entrambi e Benedetta sentì un brivido, quel bacio non aveva senso; non doveva succedere. Non erano più ragazzi. Il tempo era passato e le responsabilità del loro futuro pesavano sul loro presente. Benedetta si scostò bruscamente.
  • Antonio io devo andare, non sono ancora riuscita a trovare delle scarpe adatte per il matrimonio di Luciana. Dovrò girare qualche negozio qua. A Milano ho avuto giorni di fuoco e … Sai se in centro trovo qualcosa?
    Antonio si offrì di accompagnarla, ma lei fu decisa a rifiutare. Lasciò Antonio senza nessuna promessa di rivederlo nei tre giorni successivi. Si sarebbero rivisti direttamente al matrimonio della cugina e là si sarebbero salutati per sempre.

Il ricevimento di nozze fu splendido. La cugina, avvolta nel suo meraviglioso vestito bianco, sciolse gli ultimi dubbi di Benedetta. Luciana era fatta per il matrimonio, lei no. Lei non avrebbe mai indossato quel vestito. Doveva accettarlo, come aveva sempre fatto. Ci fu musica e tutti avevano voglia di ballare e divertirsi. Antonio avrebbe voluto parlare con Benedetta, avrebbe voluto dirle che il suo cuore era rimasto legato a quell’estate di ventiquattro anni prima. Ora sapeva perché non aveva mai amato nessuna; nemmeno sua moglie. Voleva dire a Benedetta che la sua vita era là, a Guardia, con lui. Sapeva quanto amava i vigneti e la valle e sapeva che lei avrebbe voluto invecchiare là. Antonio, però, non disse nulla.
Benedetta partì la mattina seguente.

In dieci anni, Antonio aveva portato La Cantina ad essere un punto di riferimento fra le aziende agricole in Italia. I turisti adesso venivano anche d’inverno e il suo contributo fu importante per il rinnovamento dell’immagine di Guardia. La Cantina organizzava eventi internazionali, legati al vino e alla viticultura; formava competenze e collaborava con realtà culturali di alto livello italiane ed europee.
Antonio era un signore di 48 anni, sbattuto da una parte all’altra dai suoi mille impegni. In una mattina di sabato, si era ritagliato un po’ di tempo, per passeggiare in solitudine fra i suoi vigneti. Lo rilassava. Quella mattina si mise in ascolto, aspettava che i suoi vigneti gli parlassero, per perdersi nei suoi ricordi, ma una signora matura, dall’aspetto piacevole ed elegante gli si piantò davanti. Gli sguardi si incrociarono. Era una signora di Milano. Si stabiliva a Guardia, la sua terra. Era da tutta una vita che viveva lontana. Era tornata per restare. Lui le prese la mano. Non dissero nulla. Si sedettero ad ascoltare il fruscio delle foglie, mosse dal vento del Sannio.

Arrivato sull’isola continuò a pensare sempre più a se stesso. Con la sua arroganza e superbia si fece strada in poco tempo tra la “bieca popolazione” – così era solito denominarla -, passando le giornate a sfruttare in maniera sprezzante quei pochi indigeni locali che erano riusciti a raggiungere via mare le coste in cerca di riparo. D’altronde, loro erano alla ricerca di una guida e lui alla ricerca di qualcuno su cui esercitare nuovamente il proprio potere direttivo.
Per oltre 120 giorni la famiglia non seppe dove fosse finito né il motivo della fuga improvvisa, fino a quando Gigi, il mediano, non trovò incastrati in una feritoia dietro un quadro i restanti quattro biglietti che erano loro destinati. L’indomani partirono per quella destinazione ignota, in cerca di risposte.
Una volta giunti sull’isola vennero bendati e condotti dinanzi a quello che gli indigeni definivano “the ruthless”, lo spietato. Tra le 7 regole del regno vi era l’ordine di rapire chiunque approdasse sull’isola: il destino degli stessi era, poi, rimesso nelle mani del sovrano, che ne avrebbe decretato l’eventuale degnità a rimanere sul territorio in base a criteri ignoti ai più.
Condotta ai piedi del sovrano, la famiglia si rese presto conto di chi si celasse dietro quell’insana figura: il tanto a lungo amato padre di famiglia; che a stento li guardó in faccia mentre decretó, senza alcuna empatia, il loro confinamento in un’area creata dallo stesso.
I giorni passarono ed il clima di terrore instauratosi crebbe sempre più. La sete di potere portó il sovrano ad ergersi quasi a “dio dell’olimpo”.
Fino a quando accadde che, in una tiepida mattinata primaverile, si presentó al suo cospetto un signore molto anziano, con barba e capelli tanto lunghi da nasconderne totalmente i connotati. “Che succede?” – chiese il sovrano. “Dove sono le mie guardie?”. In effetti era strano che quel tizio fosse apparso in quel modo, senza essere stato bendato e scortato dalle guardie. Di queste ultime, a dire il vero, non v’era traccia.
Certamente non è approdato via mare, essendo gli indigeni chiamati a presidiare ogni zolla di terreno.
Era quasi come se si fosse materializzato proprio lì, all’improvviso. Notato lo sgomento del sovrano, senza indugiare oltre, agitó repentinamente il proprio bastone: lentamente apparve una scritta al neon in aria, che recitava “L’invidia covó in seno, l’accidia scaldó il terreno e fu infine la superbia che disperse il suo veleno. Così sempre sarà, dalla notte dei tempi all’eternità, finchè il buon senno giungerà”. Il vecchio, come era arrivato sparì.
Il sovrano rimase quasi stordito dalla voce che, rimbombando, lesse la profezia ma, comunque, non se ne curó più di tanto. Dal mattino seguente ebbero inizio una serie di particolari eventi, non collegati tra loro: una parte di villaggio venne saccheggiata e rasa al suolo; un centinaio di topi invase le dispense collettive, e così via nei giorni a venire…
L’ira del sovrano si alimentava sempre più, dal momento che non riusciva ad avere il controllo sugli accadimenti. Al contrario, applicava una politica sempre più restrittiva, accusando il popolo di non adottare le giuste cautele in termini di sicurezza e di essere, pertanto, l’unico colpevole.
Nel tempo, i rapporti si esacerbarono, avendo il sovrano continuato imperterrito ad accusare il popolo delle ripetute disgrazie di continuo abbattutesi sull’isola.
Una notte, peró, nonostante l’aria tiepida aleggiante nel regno, il sovrano ebbe improvvisamente freddo e si destó: a quel punto, come se vedesse tutto dall’alto, vide il suo corpo steso sul letto come pietrificato e il villaggio coperto dalla lava – e, spaventato, cadde nuovamente in un sonno profondo.
Dormì per le successive 36 ore, ininterrottamente. Quando riprese conoscenza ebbe come un sussulto; come se qualcun altro avesse preso il posto all’interno del suo corpo. O meglio, preferiva raccontarla in questo modo piuttosto che affermare di essersi improvvisamente reso conto di tutti gli errori commessi e del male arrecato. Perché questo è ciò che accadde: nel corso del lungo sonno assistette attonito, quasi come se stesse vedendo un film, alla caduta del suo regno e alla graduale rovina dell’intero Pianeta. Vide come, sin dal 64 d.C., la lontana profezia ebbe il suo corso: Nerone fu il primo dei superbi a riceverla, e a lui seguirono tutta una serie di uomini, più o meno potenti, la cui smania di grandezza portò solo rovine.
Il minimo comune denominatore era sempre il medesimo: la profezia era destinata a ripetersi e ripetersi nel tempo proprio perché la sete di potere ha sempre contraddistinto l’essere umano, dalla notte dei tempi fino all’eternità.
Tore si guardò allo specchio e si spogliò dei panni del sovrano, quasi non si riconoscesse più. “Che ho fatto, dio mio”.
Scese in strada e si accorse del rapido declino della situazione: la catastrofe era imminente. “Finchè il buon senno giungerà” – ripensò. Si rimboccò le maniche e diede il via alla sua missione: immediatamente corse a liberare la propria famiglia. “Perdonatemi, sono di nuovo io. Perdonatemi” e li abbracciò forte tra le lacrime. “Seguitemi”. Con la coda tra le gambe si scusò con la popolazione, chiedendo loro di ascoltarlo per l’ultima volta al fine di salvare il regno. Ad ognuno impartì una serie di direttive precise e mirate per far sì che la catastrofe potesse rientrare. Tutti lavorarono sodo, sotto la costante motivazione di un soggetto che per la prima volta videro come un loro pari. Più lo stato emergenziale aumentava, più Tore si impegnava ed imparava: ogni passo era per lui una lezione di vita, di comportamento e di priorità.
Nonostante gli enormi sforzi compiuti – senza sosta alcuna – nei giorni a venire, però, il fuoco arrivò presto alle pendici del vulcano, attorno al quale il villaggio era stato costruito, e violenti scosse di terremoto dissestarono ciò che rimase delle abitazioni. La profezia si stava realizzando e nulla potè Tore, ma non si abbatté: mise al riparo tutta i cittadini e li condusse via mare, uno per uno, tramite un’imbarcazione rimediata al momento, presso una porzione di terra del tutto sconosciuta. Lui salpò, non sapendo dove andare, e fu il mare a guidarlo.
Solo la mattina successiva, una volta terminate le intemperie abbattutesi, Tore ed il suo popolo – scorgendo all’orizzonte il fumante vulcano – si resero conto di trovarsi sempre sulla stessa isola, ma in un altro versante, fino a quel momento sconosciuto, sul quale piantarono le loro radici all’insegna di una nuova vita di comunità.
Tore non potè salvare il regno ma, nel riscoprire se stesso e le priorità della vita ruppe la temuta profezia, impedendo tanto la distruzione del globo quanto la possibilità che la stessa potesse ripetersi.
La loro vita riniziò da lì, nell’isola di Anet – così rinominata da Tore anagrammando l’Etna, quale omaggio alle proprie origini – sempre sotto la guida di quel burbero sovrano che loro infine scelsero come primo cittadino, quale riconoscimento al valore e al coraggio e quale segno di disgiunzione dalla vita precedente.

Antonio di Santo: sono un avvocato con una grande passione per la scrittura. Ho pubblicato il mio primo libro, intitolato “Benedetto avvocato: le avventure straordinarie di un avvocato di provincia”. Il libro è un ritratto ironico e leggero della quotidianità di un avvocato di provincia, che spesso si trova a ricoprire non solo il ruolo di legale, ma anche quello di confidente, amico e sostegno psicologico per i suoi clienti. Le storie raccontate mettono in luce, con pungente ironia, il lato umano della professione forense, regalando ai lettori momenti di riflessione e leggerezza.
In questo periodo storico, segnato prima dalla pandemia e poi dalla guerra in Ucraina, credo che sia fondamentale cercare momenti di serenità e spensieratezza. Con “Benedetto avvocato”, ho voluto offrire un contributo in questa direzione, strappando un sorriso e stimolando una riflessione su quanto siano preziose le cose semplici della vita.
Sono convinto che l’arte, in tutte le sue forme, sia uno strumento potente per rispondere alle difficoltà dei nostri tempi, e spero di poter continuare a offrire il mio contributo attraverso la scrittura.