Agli albori della mia esistenza pensavo
che essere invisibile fosse un problema.
Non mi rendevo conto che stavo lentamente morendo,
dentro gli abiti di danza classica, scarpette gessate e mollette strette che
mi stringevano la testa
fino a farmi quasi esplodere i neuroni.
Lì forse avevo capito che quando balli con il cranio compresso impari a non pensare.
Ti insegnavano a posare sul palcoscenico degli adulti aristocratici che si arricchivano delle tue movenze regolate.
Mia madre diceva che la postura e movimenti delicati costruiscono una immagine di donna fine, elegante, dritta; dunque son morta non ascoltando il mio corpo nell’ultimo saggio mentre facevo il topino di Cenerentola, il cappello mi si scucì, la mia testa era troppo grande.
Dietro le quinte di un grosso palco, mentre mi toglievano le mollette dai ricci, decisi l’indomani di rasarmi i capelli. Lo feci e cominciai ad essere invisibile a 8 anni, quando iniziai a giocare in una squadra maschile di basket. Ero l’unica lei, ma senza tette.
Continuai ad allenarmi ad essere invisibile nei campionati di basket, nei miei vestiti larghi, comodi.
L’invisibilità inconsapevole si insinuava nel mio essere atea e non battezzata,
nell’esser cacciata dalle classi e di non aver nessuno alla mia festa di compleanno a 8 anni.
Mi allenavo ad essere invisibile ancora baciando la prima volta la mia baby sitter, nel vestirmi da superman, spazzacamino, Frodo;
Eppure mi piacevo. Dentro al mio essere maschio.
Il potere dell’invisibilità prendeva forma al liceo, non avevo identità. Un giorno ero Lucio battisti, l’altro Branduardi, l’altro ancora ero Caparezza.
La gente si divertiva a congetturare e il gioco si faceva sempre più intenso quando son morta per l’ennesima volta nell’istante in cui le compagne del liceo mi legavano con corde strette, attorno alle tette e mi sceglievano trucco e parrucco.
Mi ero ricordata delle mollette, dei miei ricci, delle lacrime stanche.
Il mio era uno stato liquido, ero acqua, nuotavo assieme al circolo vizioso dei passaggi obbligatori della vita.
L’ avevo capito all’università, lì son morta di nuovo in mezzo alla pozza di sesso torbido, fidanzati annuali, amanti occasionali, situazioni ambigue.
Eppure mi piacevo, dentro al mio essere bisessuale.
Nel non essere banale.
Ero dentro l’invisibile essendo visibile.
Ero occhi e cravatta alla laurea con la tesi più noiosa della facoltà di giurisprudenza.
Ero diritto tributario,
ero fuori corso,
ero fuori tempo,
ero fuori luogo,
ero fuori ego,
ero fuori nei fior fiore dei miei anni,
l’insieme di scelte sbagliate ma confortevoli,
Visibili.
Oggi ho un potere: il piacermi invisibile con il mio mantello della Versatilità .
La Versatilità è aria ed ora respiro, mi silenzio, mi avvolgo nella muta osservazione.
Il versatile è Vuoto ed ora mi riempio di donna,
di uomo,
di profumi blu,
mi dipingo nei mi quadri distratti e astratti,
mi abito di strappi sottili di piccole identità.
Ora mi bevo gli errori, gli orrori e i mostri,
li inserisco nel derma,
nelle cellule morte del mio ERO.
Vivrò e morirò ancora fino a quando la Signora con la falce incontrerà la mia invisibilità…
son sicura che per quella strada trasparente troverà qualche molletta.
COLLEZIONE
Privata di Livia Messina
Livia Messina
Mi chiamo Livia, in arte distrattArt. Nei miei dipinti c’è sempre la fusione tra la mia arte e le mie poesie. Mescolare i colori significa rievocare sensazioni, suoni, movimenti, personaggi. In ogni mio quadro alberga un’anima. Mi piace dipingere astrattamente e distrattamente l’introspezione.
N.B.: l’immmagine di copertina è un quadro dell’artista.